Ore 5.50 e sono nell’atrio della stazione centrale. La
sveglia stamattina ha suonato molto presto, lo zaino pronto aspettava
impaziente, una sistemata veloce ed ero nel chiaro dell’alba. Due professori
,due zaini, uno scooter e si arriva a destinazione. Ci sono già tanti, tutti
con un sonno eccitato sulla faccina. I genitori si tengono alla larga, timorosi
quasi di invadere quell’atmosfera di timido complotto formatasi quasi
immediatamente. Sono tutti con gli zaini, meno male, anche se talvolta un po’
troppo pancioni. L’abbigliamento, in generale, è pure da gita, quasi da
montagna. Qualcuno è impeccabile, si vede che conosce già lo stile montanaro….
Saliamo nello scompartimento scortati da sguardi preoccupati che inviano le
ultime raccomandazioni a chi sembra quasi non accorgersene più. 6.05, il
regionale per Carnia si muove lentamente dalla stazione, accompagnato da tante
mani alzate per gli ultimi, oramai inutili saluti. Siamo quasi solo noi per un
bel pezzo in questo treno di pendolari che appena dopo Cervignagno inizia a riempirsi
soprattutto di studenti: Udine e Gemona le mete più gettonate. Venzone è
davanti a noi, con il suo centro ancora segnato da tristi ricordi tettonici. Il
cambio a Carnia per salire sul pullman delle ferrovie e iniziare a spingerci
nel cuore delle montagne. La profonda val del Ferro e la val Canale si
schiudono pian pianino davanti a noi. Le prime vere cime iniziano ad
avvicinarsi, la val Bruna ci accoglie con un tiepido sole dopo tanti giorni di
pioggia. L’autista della Saf è pronto, tutto per noi, 10 minuti e siamo in
testa alla Saisera. Il buongiorno ci viene dato dai fratelli Nabois, il piccolo
e il grande e soprattutto dalla regina della vallata, la nord del Jof del
Montasio che si impone ancora molto bianca, nonostante giugno sia già arrivato,
sopra la sua testata. I ragazzi sono frizzanti, come l’aria che ci circonda,
felici di essere arrivati in questo luogo, per una gita scolastica che portasse
in sé gli ultimi due giorni di scuola. Mollare le ancore dal porto di Altura,
dove tutti gli altri compagni erano nelle classi ad aspettare l’ultimo
campanello, è stato motivo di euforia. Una gita voluta con i denti da tutti, io
per prima, che ho combattuto avversità di ogni genere per riuscire a trovarmi
qua con loro. Con me un collega diverso da quello che doveva esserci, ma non importa; non c’è Paolo, la
nostra usuale guida escursionistica del CaiSag di Trieste, fermato da acciacchi
di salute, ma non importa. L’importante è esserci e con il sole! Dopo sosta
merenda e prima ricognizione del luogo con cartina alla mano, si parte, si
inizia a salire: 17 ragazzi in rigorosa fila indiana, dapprima dietro al mio passo e poi guidati a turno da uno di
loro che doveva orientarsi leggendo in loco i segni orientativi. Alcuni hanno
pure sbagliato traccia, ma è stato un bene, perché sbagliando si impara e poi
con questo trucchetto siamo arrivati nella piana del rifugio fratelli Grego
senza quasi accorgersene. E quasi puntuali con il tempo indicato dai cartelli
Cai. La gioia dei ragazzi è vera, immediata quando, provati dalla salita, hanno
visto sbucare il tetto rosso del rifugio: vuole dire fine della fatica. Il
tempo ci assiste ancora per un po’ ma è instabile e quindi come è tipico in
montagna, al pomeriggio arriva pure un bell’acquazzone. Dopo l’acqua c’è tempo
per una ricognizione della zona, del laghetto e della sella di Sompdogna, tante
foto e tante grida, sorrisi e scherzi. Solo un neo: Ester sta male, ma non vuol
mollare. Chiusa nella sua giacca, berretto in testa ci segue assente e col triste
presagio di ciò che sarà di lei nelle prossime ore. E infatti al rientro è bianca, piena di
brividi, da quasi 39 di febbre. Quindi un bel te, e subito a letto. Gli altri
cenano e poi ancora, con le ultime luci del giorno sulle pareti rocciose
davanti a noi, con un bel evidenziatore colorato, ripresa pratica, sulle
fotocopie della cartina geografica del luogo che ognuno aveva con sé, di quanto
visto oggi. Un salame al cioccolato by prof da suddividersi e una candela sulla
quale abbiamo soffiato tutti per spegnere definitivamente il primo anno di
scuola media danno un tocco dolce alla serata. Ed ecco finalmente il cielo
notturno, meno stellato da quello che si sperava, ma sufficientemente luminoso
per trovare le maggiori costellazioni al canto delle canzoni di Riki Malva
cantate a squarciagola da Seba. Il santuario del Lussari emana sensazioni di
pace e sono queste che accompagnano probabilmente il sonno profondo dei ragazzi
e del prof. Fabio in un camerone e della ragazze e della prof Nadia nel
sottotetto.
L’alba, ancora una volta, ma ora sono circondata dai monti.
Sento pulsare vivo il tempo imprigionato in queste calcaree pareti rocciose,
testimoni impassibili della lunga e tormentosa storia degli uomini… trincee,
fortificazioni, fortini simboli di guerre, di morte, di inverni impossibili… e
sarà proprio questa la meta della nostra giornata, il Jof di Sompdogna,
roccaforte militare di inizio Novecento. Alleggeriti negli zaini, i ragazzi
partono dal rifugio a piede leggero, pieni di aspettative, Ester purtroppo è
rimasta ad aspettarci in rifugio. Il sentiero 610 sarà il nostro compagno di
ascensione. All’inizio si presenta burbero, ripido da togliere il fiato anche a
questi chiacchieroni indefessi… io in testa a battere il ritmo di salita,
Fabio in coda a sorreggere i più lenti. Man mano che saliamo la vegetazione
cambia, la vista si apre ma non tanto da far scoprire la sorpresa finale. Tratti
di sentieri sono ancora innevati, bisogna stare attenti, e i ragazzi sono
iperattenti, ascoltano senza indugio quanto viene loro insegnato e detto. Come
ieri, nei tratti più difficili il primo aiuta il secondo, il secondo il terzo e
via andare. Lentamente siamo quasi in cima e come ogni grande impresa che si
rispetti ecco il premio finale: nel suo massimo splendore si apre davanti i
loro occhi la nord del Montasio, proprio quella che ieri, a fondovalle sembrava
una semplice paretina. Ho cercato di prepararli, di anticipare loro la bellezza
di quello che avrebbero avuto davanti agli occhi ma non occorrono parole, basta
guardare i loro volti, persi, estasiati, i loro occhietti lucidi di emozione
sono un chiaro segnale che questo gita scolastica ha avuto il massimo dei
successi…”Prof, che bello!” “Che meraviglia!” “Che spettacolo!”. Chi non è mai
stato in montagna se ne sta zitto, non riesce quasi a parlare… intime
vibrazioni profonde, che preferisce tenere tutte per sé per poi eventualmente lasciarle
trapelare a tempo debito, nella quantità voluta. Al bivacco Koflach lasciamo
gli zaini, prendiamo il pranzo a sacco e saliamo l’ultimo pezzo con il cuore
che batte forte. Il cocuzzolo verde di cima è un terrazzo panoramico a 360°: la
Dogna e la Saisera sembrano due veli asimmetrici di uno stesso vestito che si
annodano sulla croce di vetta. Già da ieri meravigliosi fiori bluette ci
accompagnano lungo il nostro cammino però oggi nei prati di cima ci salutano
fantastiche genziane dal blu intenso, rigorosamente lasciate al loro posto, ma
immortalate a ricordo da tanti scatti diversi. Il tempo non è più completamente
sereno, anzi pian piano si fa sempre più nuovoloso quindi è meglio sbrigarci a rientrare, anche perché
in discesa c’è bisogno di maggior attenzione.
Ci sono alcuni che improvvisamente soffrono di vertigini e quindi è
d’obbligo ancorarli tra me e la parete. Ora il primo è Fabio e in coda sono io.
Con il solito metodo di aiuto reciproco, riusciamo a superare il pezzo più
difficile e quando mi sento già più distesa grida di gioia mi investono: i
primi hanno superato le macchie di neve scivolandoci sopra e così via via gli altri
fino ad arrivare a Fabio che li aiuta a rientrare in sicura. Che strano, eppure
nessuno è stato male, anzi tutti han dimenticato i loro affanni e sono arrivati
alla grande al laghetto, senza problemi, né fatica. Che bella, questa gita, che
soddisfazioni, credo il modo migliore, per toccare con mano quanto studiato, per
salutare un anno di lavoro e dare il benvenuto alle vacanze, per crescere, per diventare
ancora più amici, per imparare a rispettare e ad amare per davvero madre natura.
E sì che menti illuminate vorrebbero abolire definitivamente la geografia dalle
scuole ovvero… tutto questo!
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